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Irine ha ucciso il suo cane.
Rideva.
Voce al telefono deformata dal sorriso.
Le ho chiesto il perché.
Sentivo eccitarsi nel tono usato l'amica.
L'immaginavo dilatarsi posseduta dal ricordo di un amplesso vicino.
Rideva.
"Quella bestiola mi ha dato dolcezza fino all'ultimo istante."
Diceva per questo l'ho uccisa.
Per ascoltarne il suono, diceva.
"Avrei voluto darti le grida mia cara Claudine, quale dolore grazioso, una tempesta di inconsueto lirismo."
Sentivo il sapore della sua saliva colare.
Quasi si parlasse di miele.
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Penso a Irine.
Irine ha ucciso il suo cane.
Ho scritto sotto il tappeto la frase.
"Irine ha ucciso il suo cane."
Faticavo ad entrarle negli occhi.
Le stavo sopra.
Desideravo reciderla.
Si godeva ancora una passata visone. Sentiva le urla. Bastava celare quel tanto pupille per la proiezione. Tutto tornava compreso il sonoro. Così si propose a pomeriggio inoltrato la criminale. Indossava lo scialle orientale dell'occasione. Un drappeggio di seta purpureo che le copriva le spalle. Non conosceva il destino delle ore a venire. Cinguettava raccontando torture. Deliziata dal sangue della addomesticata bestiola si alzava in preda alla furia. Le presi le mani. Si compiacque del tocco. Le dissi di lasciarmi giocare. Le dissi di lasciarsi bendare. Ansimava scoprendosi il seno. Le tolsi lo scialle. Delicatamente e poi con rabbia la spogliai completamente. Ansimava Irine accarezzandosi il ventre. La imbavagliai con cura. Nuda. Polsi e caviglie legati. Inarcava quel corpo sul marmo. Vicino al tappeto che nascondeva la frase. "Irine ha ucciso il suo cane."
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